Neuromarketing: Cos’è, Tecniche, Strategie, Esempi e Casi Aziendali

Che cos’è il Neuromarketing? Quali sono le migliori strategie e tecniche utilizzate dalle aziende? Leggi la guida completa.

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Il 60% degli utenti afferma di non fidarsi di persone o imprese che ricevono commenti o recensioni negative

Cos’è il Neuromarketing?

Il neuromarketing è una disciplina che indaga quali sono le forme di comunicazione più efficaci per influire sui processi decisionali di un consumatore

Chiunque abbia un’attività deve preoccuparsi di avere una buona reputazione aziendale.

Questo vuol dire applicare una serie di strategie che, da un lato, puntano al mantenimento e miglioramento dell’immagine; dall’altro, vanno ad incrementare il fatturato dell’azienda.

In tale contesto, un ruolo fondamentale è svolto dal marketing.

Le strategie di marketing tradizionale, sebbene abbiano un ottimo riscontro sulla clientela, si stanno evolvendo includendo non solo l’analisi delle esigenze dei consumatori, ma anche della loro emotività

Così nasce il neuromarketing, che unisce al marketing le conoscenze neuroscientifiche.

Il suo scopo è di analizzare i processi irrazionali degli utenti prima, durante e dopo l’acquisto di un bene o servizio.

Il fine ultimo, invece, è determinare il loro coinvolgimento emotivo.

Cos'è il Neuromarketing ReputationUP

Bisogna considerare che le tradizionali ricerche di mercato analizzano la parte razionale dei processi decisionali dei consumatori.

Queste corrispondono solo al 15% delle azioni; mentre il restante 85% dei comportamenti d’acquisto è inconsapevole

Analizzare cosa si nasconde dietro questa percentuale, fa la differenza rispetto al successo della tua azienda.

Cosa significa Neuromarketing?

Il termine deriva dall’unione del prefisso greco neuro, che rimanda a ciò che riguarda il sistema nervoso, e marketing, nel significato generico di vendita.

Gli studiosi del neuromarketing analizzano quali aree del cervello si attivano in risposta di un determinato stimolo.

Questo può essere provocato dai colori di una pubblicità, o dalla grafica di un sito web, per esempio.

In poche parole, si tratta di applicare le conoscenze e le pratiche neuroscientifiche nel settore del marketing

Come nasce il Neuromarketing?

Il neuromarketing nasce dall’esigenza di capire quali siano le emozioni che legano un consumatore a un marchio

Tale sistema di approccio al consumatore nasce con l’obiettivo di affiancarsi alle tradizionali strategie di marketing e non per sostituirle.

Ogni cliente ha un’opinione su un brand o su un singolo prodotto.

Come evidenzia il rapporto annuale di Idealo, il 92% degli acquirenti legge queste recensioni.

Come nasce il Neuromarketing ReputationUP

Una delle opzioni a disposizione del proprietario del brand, è eliminare le recensioni negative.

Tuttavia, c’è una via ancora più efficace, cioè capire quali sono le reazioni del potenziale cliente alle nuove proposte commercializzate.

In questo modo, potrà identificare un piano creativo che possa soddisfare le esigenze del futuro consumatore.

Questo è l’obiettivo con cui nascono le tecniche di neuromarketing, per capire i comportamenti della clientela nei confronti di un servizio o brand.

Per farlo, gli esperti esaminano i processi inconsapevoli che avvengono nella mente dei clienti; allo stesso modo, osservano come influiscono sulla loro decisione di acquisto oppure sul coinvolgimento emozionale nei confronti del brand

Quando nasce il Neuromarketing?

Il neuromarketing nasce formalmente nel 2002, ad opera di Ale Smidts, professore di Marketing Research della Rotterdam School of Management.

Tuttavia, il primo esperimento nella storia del neuromarketing risale agli inizi degli anni 2000.

Read Montague, un neuroscienziato del Virginia Tech Carillon Research Institute, conduce uno studio sulla brand identity di Pepsi e Coca-Cola.

Lo scienziato divise i partecipanti allo studio in due gruppi e ad entrambi fece bere le due bibite in due bicchieri identici; il primo gruppo non era a conoscenza di cosa stesse bevendo, mentre il secondo sì.

L’obiettivo era capire quale fosse il gradimento degli utenti, non solo rispetto al prodotto in sé, ma anche rispetto alla percezione della marca.

Il risultato? Il primo gruppo, che non conosceva la marca delle bibite, ha apprezzato maggiormente la Pepsi; nel secondo ha prevalso la percezione del brand sul prodotto in sé e quindi si preferiva la Coca Cola.

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Come funziona il Neuromarketing?

L’esempio sopra riportato dimostra quanto sia importante, per una marca, una solida campagna di brand protection.

Il neuromarketing ci insegna che non solo devi offrire un prodotto qualitativamente buono, ma anche saper vendere la sua immagine.

Per questo è fondamentale contare sulle competenze di un’azienda specializzata come ReputationUP, che può fornirti un servizio completo di gestione della reputazione.

La domanda che dovresti porti è: perché il consumatore ha scelto quel prodotto?

Devi sapere che il comportamento dei consumatori è in parte prevedibile ed è possibile monitorare in tempo reale i loro stimoli rispetto al processo di acquisto

Grazie all’impiego di tecniche di marketing legate alle neuroscienze è possibile pianificare una strategia efficiente per massimizzare le tue vendite

Per fare un esempio concreto citiamo una ricerca condotta da Paul Zak, PhD alla Claremont Graduate University in California.

Il ricercatore ha osservato l’ossitocina, un neurotrasmettitore del cervello conosciuto come l’ormone dell’amore.

Zak ha notato che questo ormone crea fiducia in un prodotto o marchio e, quindi, aiuta ad aumentare le vendite.

“Le persone trattate con ossitocina hanno donato il 56% in più di denaro alle cause presentate negli annunci di servizio pubblico. […] hanno anche riferito che le pubblicità li facevano sentire più empatici.”

Come funziona il Neuromarketing ReputationUP

Si tratta di utilizzare tecniche di persuasione che sfruttano i “punti deboli” della psiche umana. 

Nello specifico, il neuromarketing agisce su tre aspetti del cervello del consumatore:

  • Attenzione;
  • Emozione;
  • Memorizzazione.  

Tale sistema può essere applicato a qualsiasi ambito produttivo, sia esso di informazione oppure di vendita.

Come funziona la fMRI?

L’acronimo fMRI sta per Risonanza magnetica funzionale.

Si tratta di una tecnica utilizzata in medicina e capace di indagare l’anatomia o il funzionamento cerebrale.

La sua applicazione nel neuromarketing punta a rilevare quali aree cerebrali si attivano in seguito alla sollecitazione di uno stimolo. 

Il problema della fMRI è che è molto costosa, motivo per cui non ha un larghissimo utilizzo.

Tuttavia, rispetto alle altre strumentazioni, consente un altissimo livello di precisione.

Attraverso la fMRI è possibile, ad esempio, dimostrare come l’inserimento di determinate scene o colori all’interno delle pubblicità sia efficace per incentivare l’acquisto.

Cosa studiano le neuroscienze?

Il termine neuroscienze è stato coniato dal neurofisiologo americano Francis O. Schmitt.

Per capire meglio di cosa si tratta, ci serviamo della definizione della Treccani:

“Insieme delle discipline che studiano i vari aspetti morfofunzionali del sistema nervoso mediante l’apporto di numerose branche della ricerca biomedica; dalla neurofisiologia alla farmacologia; dalla biochimica alla biologia molecolare; dalla biologia cellulare alle tecniche di neuroradiologia.”

Per semplificare, quindi, le neuroscienze si occupano dello studio scientifico del sistema nervoso sotto tutti i punti di vista. 

Quando si attivano i neuroni specchio?

I neuroni a specchio sono un concetto centrale alla base del neuromarketing, fondamentale per capirne il funzionamento.

Come possiamo leggere sull’articolo pubblicato dal giornale scientifico Nature, i neuroni a specchio:

“Vengono attivati dall’osservazione di movimenti sia biologici che non biologici.”

Ciò significa che questo tipo di neuroni si attiva sia quando si osserva un’azione compiuta da altri, sia quando la si compie in prima persona. 

Stando a quanto detto finora, l’attivazione dei neuroni specchio determina una risposta ad uno stimolo.

In quest’ottica, la reazione permette di capire se c’è o no apprezzamento verso un prodotto o marchio.

Come le aziende utilizzano il Neuromarketing?

Il valore del neuromarketing è aumentato dal momento che le aziende hanno spostato le vendite dei loro prodotti su Internet.

Il presupposto per essere competitivi è avere una reputazione online positiva.

Secondo un’indagine dell’Associazione Italiana di Neuromarketing (AINEM), oltre l’87,9% del campione di aziende intervistate ha sottolineato l’urgenza di investire nel neuro­marketing.

Come le aziende utilizzano il Neuromarketing ReputationUP

Di seguito le aree in cui le aziende fanno già uso del neuromarketing:

  1. Attività di branding (neurobranding):

    Dei nuovi prodotti immessi nel mercato, solo l’1% ha successo e rimane in vendita. 

    Pertanto, questa attività è fondamentale perché permette di creare una brand identity riconoscibi­le; inoltre, è capace di intercettare i desideri e le esigenze del cliente

  2. Design del prodotto:

    Sito web dell’azienda e design e packaging del prodotto sono il tuo biglietto da visita.
    Operare scelte nell’ottica del neuromarketing significa che l’attività creativa verrà regolata dai dati percettivi reali dei clienti. 

  3. Processo decisionale del cliente:

    Il neuromarketing consente di capire qual è il processo decisionale dei clienti e agisce per influenzarne le scelte. 

    Conoscere in maniera approfondita la cu­stomer experience è una delle priorità per una corretta applicazione delle neuroscienze al marketing. 

  4. Commercio al dettaglio:

    Sfrutta tutto il potenziale del neuromarketing per organizzare gli spazi in modo da attirare i clienti e fornirgli la migliore esperienza di acquisto possibile.

    Punta a stimolare irrazionalità ed emotività per prolungare la permanenza nel negozio e, di conseguenza, la spesa.

  5. Esperienza e monitoraggio online:

    L’applicazione del neuromarketing è valida tanto offline che online.

    Social network e siti aziendali devono essere costruiti in modo da facilitare e incentivare l’acquisto.

Allo stesso modo, sapere monitoraggio della reputazione online è un ottimo primo passo per avere il polso della situazione online del tuo brand.

Come realizzare una campagna di Neuromarketing?

Abbiamo detto che prima di iniziare una campagna di neuromarketing, devi conoscere bene qual è lo stato della tua reputazione online.

Se vuoi sapere in che modo il web percepisce il tuo brand, sia personale che aziendale, ReputationUP mette a tua disposizione un software innovativo.

Si tratta del Reputation Score, che combina elementi di web analysis e Online Reputation Management per attribuire il valore reputazionale e l’indice di rischio connesso all’entità.

Fatto ciò, puoi iniziare a prendere in considerazione gli elementi principali di una campagna di neuromarketing

  • Conosci il tuo pubblico a un livello profondo: determina dei buyer persona specifici e instaura con loro una connessione emotiva;
  • Racconta una storia: elabora una narrazione con la quale gli utenti possano entrare in empatia, da cui imparare o trarre ispirazione;
  • Studia il design: colori, musica, forme geometriche sono, oltre alle parole, tutti aspetti da tenere in considerazione quando crei un prodotto o decidi di offrire un servizio; la forma è importante quanto la sostanza;
  • Fai sentire il tuo pubblico: un’indagine condotta da Salesforce evidenzia come il 66% dei consumatori si senta trattato solo come un numero; stessa percentuale si aspetta che le aziende capiscano di cosa i loro clienti hanno bisogno
Come realizzare una campagna di Neuromarketing ReputationUP

Pensa a come puoi sfruttare le informazioni che hai sui tuoi clienti e dagli il giusto peso.

Quali sono le finalità del Neuromarketing esperienziale?

Il marketing esperienziale sposta tutta l’attenzione sul consumatore e le sue esperienze piuttosto che sul prodotto.

La domanda dietro questa strategie è: quale tipo di esperienza valorizza al meglio i prodotti e i servizi dell’impresa?

Il brand stimola il cliente coinvolgendolo in eventi fisici o digitali all’interno dei quali è chiamato a interagire in prima persona.

Si fa quindi leva sull’esperienza sensoriale e sulla sfera emotiva dell’utente.

Il fine è motivare e provocare il consumatore, ma anche per farlo sentire al centro dell’interesse del brand.

A livello pratico una buona esperienza con un’azienda si vede anche dalle piccole cose.

La facilità con cui si naviga sul sito web; la mancanza di problemi durante l’acquisto; che non faccia chiamate spam, motivo per cui, se hai un’attività, dovresti tenere sotto controllo la reputazione del numero di telefono.

Ecco alcuni esempi delle forme che può assumere il marketing esperienziale:

  • Spettacoli ed eventi: gli eventi fisici garantiscono un’ottima visibilità e una maggiore consapevolezza del cliente sulle potenzialità del brand;
  • Flash mob: nell’epoca dei social network questa tipologia di esperienza è molto apprezzata, soprattutto dal pubblico giovanile; senza dubbio è capace di smuovere molto il lato emotivo;
  • Influencer: coinvolgi personaggi famosi e influencer per creare eventi customizzati e rivolti a numeri piccoli di clienti; farai leva sul desiderio di appartenere a una cerchia ristretta di fidelizzati;
  • Giochi e realtà aumentata: la dimensione del gaming è sempre più attrattiva, punta su questo tipo di esperienza finché è in trend.

Più sarà intensa l’esperienza, più saranno alte le probabilità di creare con il brand un legame di fidelizzazione duraturo.

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Quali sono i 4 tipi principali di esperienza?

Abbiamo visto come le aziende puntano a eventi che possano favorire l’interazione tra il marchio e il consumatore finale.

L’obiettivo è stimolare non solo l’acquisto ma anche e soprattutto la fidelizzazione del cliente.

I tipi di esperienza sono ascrivibili a 4 tipologie:

  • Di intrattenimento: quando gli utenti assorbono attraverso i sensi e in maniera passiva quello che accade intorno a loro (esempio: l’ascolto della musica);
  • Educativa: gli utenti partecipano attivamente all’evento, sia attraverso l’esposizione fisica che mentale (esempio: un corso di formazione); 
  • Estetica: gli utenti sono fisicamente presenti ad un evento ma vi partecipano in forma passiva (esempio: partecipare ad una mostra);
  • Di evasione: gli utenti sono totalmente immersi nell’esperienza, partecipano in maniera attiva (esempio: il casinò). 

Cosa si intende per esperienza di valore?

Non tutte le esperienze legate alle attività programmate dalle aziende hanno lo stesso valore.

Infatti, una strategia mirata può garantire risultati nettamente migliori di una meno funzionale. 

Un’esperienza di valore non è altro che un’accezione positiva delle sensazioni del consumatore nei confronti di un marchio o di un determinato prodotto.

Una stima elaborata da Euromonitor mostra come gli acquisti legati alla componente esperienziale saliranno dai 5.8 miliardi di dollari del 2016 agli 8mila miliardi del 2030.

Cosa si intende per esperienza di valore ReputationUP

A questo dato si aggiunga che, secondo un’indagine di PWC, il 52% dei cosiddetti millennials spende il proprio denaro in acquisti esperienziali, il che li rende sicuramente un target da monitorare.

Quali sono le migliori tecniche di Neuromarketing?

Ogni strategia di marketing porta con sé diverse tecniche di sicuro affidamento; anche per il neuromarketing abbiamo degli elementi su cui ragionare. 

Le principali e più importanti tecniche sono: 

  • Elettroencefalogrammi: servono ad analizzare quali aree del cervello si attivano durante la visualizzazione di un annuncio pubblicitario;
  • Eye tracking: attraverso l’osservazione di dilatazione e la contrazione delle pupille, si capisce quali sono le emozioni provate;
  • Elettroencefalografia: questo strumento medico permette di misurare e registrare l’attività elettrica cerebrale in seguito ad uno stimolo;
  • fMRI: la risonanza magnetica funzionale individua quali aree si attivano in relazione a stimoli specifici;
  • GSR: la misurazione della risposta galvanica della pelle o attività elettrodermica analizza la ricezione degli stimoli attraverso la variazione della sudorazione;
  • Rilevazioni biometriche: misurano il battito cardiaco in relazione alle risposte emotive;
  • Facial coding: sfrutta l’analisi della mimica facciale e la sua interpretazione per relazionarla ad emozioni e ai loro corrispondenti stimoli iniziali.

Si tratta di tecniche non invasive che monitorano l’attività cerebrale di un soggetto per evidenziare le risposte involontarie agli stimoli sollecitati.

Fondamentalmente, servono tutte per capire cosa succede nella mente del consumatore e indagare la parte di agire irrazionale. 

Quali sono le migliori strategie di Neuromarketing?

Le tecniche precedentemente elencate permettono di elaborare delle strategie mirate molto efficaci:

  • Utilizzo dei volti umani: gli esseri umani sono attratti dai loro simili e gli occhi sono la parte del corpo che più facilmente catalizza l’attenzione.

Ancora più empatia ed emozioni positive suscitano i bambini e i cuccioli di animali.

  • Studio dei colori: ad ogni colore corrisponde una gamma di emozioni.

Il verde rimanda all’impegno ambientale, il giallo e il rosso stimolano l’energia, il blu tranquillizza, ecc.

  • Applicare i bias cognitivi: si tratta di sfruttare quei processi mentali di associazione di idee che velocizzano la presa di decisioni.
  • Effetto esca: se hai due opzioni dello stesso prodotto e vuoi veicolare la scelta sul prodotto più costoso, aggiungi una terza opzione più performante e costosa.

Il discorso funziona anche con l’utilizzo dei “prezzi psicologici”: tutti quelli che finiscono con decimali come “95” e “99”, o anche i prezzi con numeri interi che finiscono con due “9”, come 299.

  • Incremento delle dimensioni del prodotto: il peso e le dimensioni del prodotto tendono a trasmettere affidabilità
  • Poche informazioni alla volta: non esagerare nel numero di opzioni che proponi, questo genera confusione nel cliente che, alla fine, si troverà spaesato e non acquisterà.

La regola d’oro di George Miller è “sette più o meno due”, che non è una formula magica, ma ha la sua validità.

  • Analisi dei processi decisionali: affidati alle neuroscienze ed elabora una solida risk analysis per determinare un target di riferimento preciso.

Sembrano tutte azioni molto semplici, ma in realtà non è così: contatta ReputationUP per contare sull’appoggio di specialisti. 

Esempi di campagne di Neuromarketing e casi aziendali reali

Negli ultimi anni sono stati tantissimi i casi in cui le grandi aziende hanno utilizzato il neuromarketing; alcuni esempi sono rimasti nella storia della pubblicità:

  • Il caso Coca Cola-Pepsi

L’esperimento di Montague sui due brand ha un suo antecedente: l’esperimento, svolto nel 1975, proponeva lo stesso scenario.

Anche i risultati furono identici: dall’assaggio al buio i clienti preferivano la Pepsi, ma i dati relativi agli acquisti dicevano tutto il contrario. 

Probabilmente la ragione stava nel fatto che l’esperimento era condotto assaggiando un solo sorso di bevanda.

Così era più facile che i soggetti preferissero la dolcezza della Pepsi, mentre a lungo termine vincevano le qualità della Coca-Cola.

  • Il caso della zuppa Campbell

Il celebre marchio di zuppe reso celebre dai dipinti di Andy Warhol, nel 2008 decide di cambiare il packaging della sua iconica zuppa.

L’effetto non fu quello sperato e l’azienda chiuse in perdita.

Ma le ragioni non erano da attribuire ad errori delle strategie di neuromarketing, bensì a variabili come la forte concorrenza e l’obiettiva scarsa qualità del prodotto.

  • Il caso Google

Il colosso di Mountain View non fa segreto di utilizzare strategie di neuromarketing per ottimizzare i suoi spazi pubblicitari.

Un esempio viene dai cosiddetti “overlay ads” presenti nei video Youtube.

I risultati dello studio effettuato per analizzare l’efficacia di tali spot pubblicitari, rivelò una maggiore influenza rispetto ai metodi tradizionalmente.

L’utilizzo di video semitrasparente e banner, a quanto pare, attirava lo sguardo dei clienti.

Che cos’è il marketing emozionale?

Molti conoscono il neuromarketing come Emotional Marketing, i due termini possono sembrare sinonimi ma non lo sono in realtà. 

Il marketing emozionale è una strategia di marketing che fa leva sulle emozioni per abbattere le resistenze psicologiche all’acquisto. 

Attraverso questa strategia si forma l’esperienza che il consumatore deve sperimentare per raggiungere le aspettative iniziali.

Si punta sulla costruzione di un ricordo indelebile che soddisfa i suoi desideri inconsci.

Il marketing emozionale richiede l’utilizzo di una serie di strumenti che siano immersivi e accattivanti.

Ecco alcuni esempi:

  • Video;
  • Podcast;
  • Cartelloni pubblicitari;
  • Social media;
  • Packaging;
  • Merchandising e altri mezzi tangibili.

L’IPA (Institute of Practitioners in Advertising) ha condotto un’indagine su 1.400 campagne pubblicitarie di successo.

Quelle che puntano esclusivamente sui contenuti emozionali hanno un rendimento due volte superiore rispetto a quelle di contenuto razionale.

I contenuti emozionali convincono il 32% degli utenti, contro il 16% dei contenuti razionali.

Che cos'è il marketing emozionale ReputationUP

Le pubblicità che combinano le due tecniche, invece, raggiungono il 26%.

Quali sono le finalità del marketing emozionale?

Anche il marketing emozionale si inserisce tra le strategie di gestione della reputazione digitale.

Ha come scopo quello di creare una campagna pubblicitaria capace di stimolare il desiderio del cliente.

Puntando sull’aspetto emotivo, si spinge il cliente a volere un prodotto piuttosto che un altro.

Fa affidamento su tecniche persuasive che stimolano l’immedesimazione attraverso un linguaggio emozionante e immagini coinvolgenti.

Per favorire gli acquisti, queste sono le emozioni sulle quali tale tipo di marketing spinge:

  • Paura: può essere utilizzata a proprio vantaggio in due modi, spiegando come il prodotto in questione aiuta a risolvere il problema del cliente; facendo leva sul fatto che ci sono pochi prodotti disponibili e stimolando quindi il bias della scarsità, inducendo all’acquisto immediato. 
  • Senso di colpa: funziona allo stesso modo della paura, premendo però sul sentimento di colpevolezza; tu hai la soluzione al problema per cui il cliente si sente in colpa, hai vinto.
  • Fiducia: la fiducia è strettamente correlata alla fidelizzazione. Le recensioni positive di altri utenti, vantaggiose politiche di reso, sono tutte strategie che stimolano la fiducia e, di conseguenza, generano fidelizzazione. 
  • Senso di appartenenza: sentirsi parte di una community di utenti, fa sentire il cliente più protetto e tutelato; sfrutta i social network per farlo.
  • Gratificazione immediata: la velocità di consegna o di reperibilità di un prodotto, influisce sull’acquisto.
  • Valori del prodotto: l’idea è di far percepire al cliente che gli stai offrendo più di quello per cui sta pagando. Bisogna costruire la comunicazione puntando sul valore aggiunto che il tuo prodotto genera per il cliente.
  • Desiderio di apparire: gli influencer spingono il mercato, tu devi far sentire il tuo cliente alla stregua di un personaggio di tendenza.

Come chiamiamo la tecnica di marketing capace di dare forza emozionale al prodotto attraverso il racconto?

La tecnica capace di rafforzare le emozioni nel cliente attraverso il racconto è detta storytelling emozionale

Per vendere il tuo prodotto devi raccontare una storia.

La narrazione che costruisci deve avere tutte le caratteristiche di un racconto breve, per far sì che il cliente si senta coinvolto e parte della stessa storia.

Lo storytelling può fare affidamento su un’ampia gamma di strumenti di comunicazione sia online che offline.

Libri, video, pubblicità e podcast, sono i mezzi più utilizzati, ognuno con le sue caratteristiche peculiari. 

Questa tecnica è molto utilizzata anche nella gestione della reputazione personale.

Un brand che fa dello storytelling il suo marchio di fabbrica è Apple.

Già la storia di Steve Jobs in sé ha una sorta di valore mitologico per gli utenti.

A questo si somma la grande capacità espressiva ed emotiva delle campagne pubblicitarie che l’azienda di volta in volta costruisce. 

Quale disciplina fonde al suo interno il Neuromarketing?

Come è facile dedurre dall’etimologia della parola, il neuromarketing nasce dalla fusione di marketing e neuroscienze.

Oltre alle due deducibili dal nome, sono molte altre le discipline incluse nell’ambito del neuromarketing.

Tra le macroaree più importanti troviamo:

  • Economia comportamentale

Come illustra un testo della Banca d’Italia sul tema, questa disciplina si fonda sul concetto di nudge, ovvero la spinta gentile.

Le scelte dei consumatori vengono orientate facendo leva su comportamenti diffusi che sono di base irrazionali ed emotivi.  

  • Psicologia cognitiva

Con questo termine si intende raggruppare una serie di teorizzazioni relative ai processi mentali.

Il principio fondante è che la mente sia un sistema che elabora l’informazione e, di conseguenza, è capace di agire di conseguenza.

La riproduzione di schemi comportamentali aiuta nella costruzione di strategie di neuromarketing finalizzate alla massimizzazione del profitto aziendale.

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Dove studiare Neuromarketing?

L’interesse crescente verso questo nuovo modo di concepire la vendita e l’analisi della clientela ha portato alla nascita di un gran numero di libri e corsi universitari sul tema. 

Per darti un’idea di cosa significa studiare neuromarketing, ti proponiamo l’offerta formativa del master disponibile presso l’Università IULM di Milano. 

Come si legge sul sito:

“Il Master Executive in Neuromarketing, Consumer Neuroscience e Market Research ha la finalità di fornire le conoscenze necessarie per comprendere quali sono le principali modalità di utilizzo delle strategie di ricerca neuroscientifica applicata al marketing e alla comunicazione; nonché le motivazioni che sottostanno all’utilizzo di tali innovativi sistemi di ricerca di mercato.”

Certo, ci sono anche molti corsi online che ti permettono di saperne di più su questa disciplina, ma è più difficile distinguere le truffe da quelli realmente utili.

Come diventare psicologo del marketing?

Il rapporto stretto tra neuromarketing e psicologia è evidente e ne abbiamo già parlato. 

Un professionista psicologo del marketing ha conseguito una laurea magistrale in psicologia (LM-51) ed è abilitato all’Albo degli psicologi nella sezione A. 

Come si legge nel documento del Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi:

“Si inserisce nel mercato occupazionale in differenti contesti operativi […]; con gli uffici comunicazione di grandi aziende e delle organizzazioni pubbliche (ad esempio, uffici stampa e delle relazioni pubbliche); con gli uffici commerciali e di marketing di imprese; con agenzie di pubblicità; con società specializzate in ricerche di mercato.”

Cosa si può fare con una laurea in marketing?

La laurea in marketing è molto richiesta.

Una competenza in questo ambito ti permette di gestire al meglio le strategie per veicolare l’ottenimento del risultato desiderato. 

Le abilità psicologiche unite a quelle marketing possono incrementare notevolmente i risultati di un’azienda.

Come evidenziato dal rapporto di AlmaLaurea, tra i laureati in digital humanities, il 18,5% svolge una professione tecnica, nella sfera delle vendite e del marketing.

Cosa si può fare con una laurea in marketing ReputationUP

Le figure più richieste in ambito marketing sono:

  • Product manager: sviluppa idee innovative sui prodotti; analizza i risultati delle indagini di mercato per scoprire eventuali lacune settoriali; elabora conseguenti strategie aziendali di pubblicità e vendita;
  • Brand manager: si occupa di come migliorare la reputazione online del brand rispetto ad un prodotto o servizio già esistente; studia e implementa tutti i progetti di marketing volti ad accrescere l’immagine di un prodotto o dell’azienda stessa;
  • Sales consultant: è chi materialmente vende un prodotto o servizio ai clienti di un’azienda; essendo l’interfaccia diretta tra azienda e cliente, deve avere una conoscenza approfondita dei meccanismi di marketing e neuromarketing;
  • Salesforce analyst: studia i dati di vendita e aiuta l’impresa a orientare le proprie scelte commerciali;
  • Digital marketing specialist: crea e mette in pratica la strategia per aumentare la presenza online dell’azienda
  • Growth hacker expert: è in grado di adottare strategie digitali funzionali alla crescita delle audience di pubblico o consumatori; ha competenze nell’Online Reputation Management;
  • HR marketing specialist: è una figura ponte tra i dipartimenti di marketing e comunicazione, lavorando nelle risorse umane;
  • Social media manager e community manager: l’importanza dei social network impone la presenza di una figura specializzata nella loro gestione. 

Gli psicologi lavorano nella gran parte dei casi per chiamata e hanno tariffe differenti a seconda della tipologia di intervento. 

Una stima più precisa si trova nell’ultimo rapporto annuale stilato dall’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Psicologi (ENPAP) relativo all’anno 2019.

Secondo il documento, il reddito netto medio è di 13.767 euro.

Quanto guadagna in media uno psicologo ReputationUP

C’è da notare una forbice molto ampia tra i guadagni delle donne, 12.820 euro, e quelli degli uomini, 18.403 euro.

Tra i settori di attività, il più remunerativo è proprio quello di marketing e comunicazione, che arriva a un reddito netto medio di 25.568 euro.

Al secondo posto ci sono gli psicologi del lavoro e in terza posizione quelli che lavorano in clinica o in comunità.

Chi sono Pinè e Gilmore?

James H. Gilmore e B. Joseph Pinè sono i fondatori di Strategic Horizons LLP, società che, come si legge sul sito, offre gli strumenti, le esperienze e le conoscenze per esplorare e padroneggiare il mercato economico attuale.

Prima di ciò, però, sono gli studiosi che hanno evidenziato la centralità dell’esperienza del consumatore all’interno del processo di acquisto.

Secondo il loro modello, l’oggetto di attenzione non è il bene di consumo ma il suo consumatore.

In particolare, è fondamentale la relazione che si innesca tra consumatore e prodotto, descritto come intrinsecamente dinamico e che, perciò, richiede una modalità nuova di guardare al consumo.

Il loro contributo è centrale per lo sviluppo delle teorie di neuromarketing.

Conclusioni

In questa lunga guida abbiamo analizzato tutti gli aspetti del neuromarketing.

Vediamo, in sintesi, quali sono le conclusioni che puoi trarre:

  • Le aziende più innovative stanno puntando fortemente sul neuromarketing;
  • L’85% dei comportamenti d’acquisto è inconsapevole, bisogna studiare questi aspetti per spingere il cliente verso il prodotto;
  • Il neuromarketing agisce su tre aspetti del cervello del consumatore: attenzione, emozione e memorizzazione;
  • Il 66% dei consumatori si sente trattato dalle aziende solo come un numero: sfrutta questo a tuo vantaggio e costruisci campagne marketing mirate.

In un’epoca dove le aziende sono veramente tante è più importante comprendere quali siano i mezzi per fidelizzare il cliente piuttosto che vendere un prodotto una tantum e perderlo nel corso del tempo.

Per muoverti in questo mare magnum di possibilità, affidati a degli esperti del settore.

ReputationUP, con più di 28 anni nell’ambito della gestione della reputazione online, sa perfettamente come farti sfruttare a pieno il potenziale della tua azienda.

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FAQ

Chi è il consumatore emotivo?

Nel marketing emozionale, il consumatore viene identificato come consumatore emotivo.
Questo si oppone al consumatore razionale, che acquista nel mercato dei beni seguendo un comportamento logico.

Come funziona il neuromarketing?

Il marketing tradizionale spiega i comportamenti dei consumatori tramite sondaggi o analisi di mercato; il neuromarketing cerca di comprendere i meccanismi del cervello umano, sia quelli consci che inconsci.

Che cos’è il marketing esperienziale?

Si tratta di una tecnica di marketing che crea esperienze tra brand e consumatori.
L’acquisto di un prodotto o servizio si trasforma in un’esperienza indimenticabile da vivere.

Cos’è il marketing relazionale?

Il marketing relazionale punta prevalentemente alla soddisfazione (customer satisfaction) e alla conseguente fidelizzazione della clientela (customer loyalty).
Al centro c’è la comprensione dei bisogni e desideri del cliente e la necessità di adattarsi rapidamente a cambiamenti nel suo comportamento di acquisto e di consumo.

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